Anche Gran Cereale risponde alla poikilofilia sempre più diffusa.

Avatar photo Daniele Tirelli7 Giugno 2024

Nella sua “Repubblica“, Platone, associa la “poikilia” o “poikilofilia” a piaceri pericolosi e degenerati sostitutivi di una ricerca distintamente filosofica circa la natura della vera bellezza. “Poikilosποικίλος   è una parola greca antica che significa “di vari colori”, “vario”, “diversificato” o “multiplo” e, adattato ai nostri giorni,

questo termine può riassumere e indicare un’affinità,  un interesse per la varietà o la diversità

Platone coltivava l’idea di  una società ben ordinata armoniosa e unita ed era cauto riguardo al potenziale disordine o conflitto che la diversità poteva apportare se non gestita correttamente. Potrei definire allora  “neoplatonici” quei tanti manager, nel mondo del largo consumo, che ancora non si capacitano di quella che, ai loro occhi, appare una sconsiderata tendenza a moltiplicare le referenze a diversificare in modo sottile quelle esistenti.

Ma il mondo va in altra direzione, come recita la celeberrima sintesi di Chris Anderson: “”Increasingly the mass market is turning into a mass of niches” e chi non si adegua ne viene lentamente logorato.

Consumers are finding niche products, – aggiungeva Anderson – and niche products are finding consumers.” Ed proprio la seconda clausola del chiasmo precedente è  rivelatrice di nuove strategie che volenti o nolenti stanno prendendo piede.

Anche le grandi aziende hanno imparato ad agire sul lato dell’offerta per soddisfare bisogni latenti, inespressi e inesprimibili.

Mi chiedo: chi poteva “domandare” esplicitamente un frollino whole grain al caffè 100% arabica con il cioccolato dell’Ecuador. Nessuno. Neppure io, che di roba strana, in giro per il mondo ne ho assaggiata tanta! In questo caso è l’offerta che mi ha sollecitato a pensare: “Perché no? … è diverso! debbo provarlo!”

Sembra banale, ma perché sullo scaffale appaia un nuovo frollino, debbono accadere una serie di cose all’interno delle organizzazioni complesse che governano la produzione industriale e la distribuzione moderna.

La cosa più importante è la “creatività”, un termine generico che sottinde  – come scriveva  F.Hayek in “The Sensory Order”, – la possibilità di interpretare il mondo circostante attraverso un processo classificatorio di una vasta gamma di percezioni sensoriali che variano nel tempo.

In Barilla è accaduto che il cervello di qualcuno abbia classificato e organizzato tante percezioni sensoriali secondo un ordine significativo, cioè si è verificato quel processo che è alla base della creatività, perché la creatività coinvolge la capacità di vedere connessioni tra categorie o classi di percezioni che non sono immediatamente evidenti: “frollino integrale + mandola salata + cioccolato = wow!”. Viceversa “frollino Integrale + colatura di alici=puah!”.

Tuttavia, affinché l’idea di quel qualcuno che ha pensato l’associazione menzionata potesse tradursi a) nella successiva sperimentazione, b) nella valutazione del risultato ottenuto, c) nel calcolo dei costi-benefici della sua industrializzazione e d) nella sua messa sul mercato ha necessitato di ulteriori complesse associazioni di pensiero. Questi ragionamenti per essere “legittimamente” esprimibili nel contesto aziendale, debbono essere sempre coerenti con una strategia, che seleziona,  indirizza, “legittima” idee e proposte per il futuro.

Orbene, per quel ho potuto conoscere – dall’esterno di questa grande azienda chiamata Barilla – sembra del tutto evidente che, come in tante altre multinazionali, si stia accettando e mettendo a profitto la poikilofilia di un certo numero di italiani (le mie ricerche dicono esserci un 40-45% di consumatori sensibili al “nuovo” anche in campo alimentare).

In passato la logica delle multinazionali citate e soprattutto di quelle presenti in Italia, era quella di sfruttare fino all’osso le cosiddette “power brands” ecumeniche, in quanto gradite in tutto il mondo e capaci di oltrepassare le varie barriere culturali.

In breve, la strategia prevalente (rivelatasi di breve respiro) era “vendere quel che si vende meglio”, semplificando il portfolio, standardizzano packaging, gusti e processi, così da ridurre i costi e quelli commerciali in particolare.

Oggi Barilla sembra aver interiorizzato la filosofia della continua diversificazione di cui parlava in tempi paleolitic Alvin Toffler in “The Future Shock” e a un prodotto praticamente perfetto come il Gran Cereale classico, affianca Riso e Cornflakes, Cioccolato, Digestive, Ceci, Mais e pepite di cioccolato,  nonché i due ultimi nati “Mandorla Salata e Cioccolato”  e “Caffè e Cioccolato”.

Resterebbe da chiarire un punto. Perché oggi e non prima? Ovviamente la questione è mostruosamente complessa e una risposta ipotetica richierebbe molte più informazioni e considerazioni. Oggi la tecnologia consente una flessibilità dei processi produttivi molto maggiore di ieri. Il ricambio generazionale cambia la predisposizione alla poikilofilia o al “grazing into variety” grazie alla mobilità dei giovani e al loro uso dei social media. La distribuzione moderna italiana sta (lentamente) apprendendo a gestire spazi e referenze differenziate.

Insomma, il mondo dei consumi di massa è cambiato e non di poco e quindi, per quanto strano possa suonare alle orecchie più conformiste, dietro questi due frollini si cela una storia molto, molto, molto interessante per chi è interessato agli arcani del mondo dei consumi.

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