La tecnica delle “limited edition” sembra venga fatta propria da un numero crescente di aziende del settore dei beni di largo consumo. Vicenzi, Giovanni Rana, Pavesi, Barilla, ma anche Unilever con Svelto e Cif ritengono che il lancio di prodotti “effimeri” costituisca un contributo rinvigorente per i propri brand.

Ma perché questa logica sembra funzionare anche nel campo dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto e basso valore unitario? La prima motivazione, citata da tutti gli studi sull’argomento, è che gli individui percepiscono i beni scarsi come  comprensibilmente più costosi dei beni “abbondanti”, poiché la natura e lo status di questi prodotti li rendono più desiderabili.

Le strategie delle “edizioni limitate”, come è ben noto, sono state sperimentate, in origine e da tempo, su articoli che capitalizzavano i desideri di distinzione degli acquirenti. Auto e moto di lusso, oggetti d’arredamento realizzati in pochi pezzi divennero, pertanto, oggetti da collezione proprio perché in edizione limitata. Una logica analoga è stata applicata anche a beni semi-durevoli quali abiti, accessori e calzature. Comune a tutte queste merceologie era la loro durevolezza, indispensabile al loro ruolo  di status-symbol.

Questa logica è divenuta, tuttavia, la base per le strategie di marketing applicate anche ai beni di consumo non durevoli come i Fast-Moving-Consumption-Goods. Gli esempi  esteri che più caratterizzano questo approccio, sono Oreo, un brand che opera (si dice) con almeno 85 gusti/referenze di tendenza, di cui la gran parte limited, appunto, e, su basi diverse, Apericube che offre normalmente 30 gusti che variano nel tempo.

Venendo alla teoria, va detto che cinque sono gli aspetti che, in particolare,  motivano l’acquisto e il successivo consumo dei prodotti in edizione limitata, vale a dire gli aspetti:

  • “funzionali”, ovvero  basati sul raggiungimento degli “obiettivi del consumo”, come la praticità, la convenienza e la qualità;
  • “emotivi”, ossia fattori che influenzano l’acquisto che precede il consumo, vale a dire il piacere atteso, la curiosità, la sorpresa e lo stupore;
  • “epistemici”, come l’apprezzamento per la rarità, l’unicità, e la specialità;
  • “sociali”, quali la riaffermazione della propria diversità stilistica, l’appartenenza alla classe di consumatori selettivi e più “acculturati”.
  • “economici”, come l’atteggiamento verso il rapporto qualità/prezzo, quale principio di una scelta selettiva e razionale.

Secondo altri approcci teorici, i primi quattro aspetti sarebbero antecedenti all’ ulteriore stadio in cui si attivano due presupposti fondamentali: la “fiducia nel marchio” e la “ragionevolezza economica” dell’investimento sul prodotto nuovo, scarso, ed effimero.

Ulteriormente i fattori caratterizzanti delle limited edition, più citati e sottoposti a verifica empirica nella letteratura (quasi esclusivamente estera) sono:

La scarsità, che si basa sul principio della reattanza, cioè l’effetto per cui quando  un prodotto scarseggia, le persone gli attribuiscono un valore psicologico più elevato, maturando un senso di urgenza dell’acquisto e, in definitiva, un desiderio maggiore.

La distintività, che si riflette nel desiderio del consumatore di rimarcare la propria appartenenza ad una comunità informale, destrutturata, ma reale, che possiede quel qualcosa in più che gli altri non hanno.

L’ unicità dei prodotti che viene spiegata dalla “commodity theory” secondo la quale la scarsità aumenta il valore (o la desiderabilità) di tutto ciò che può essere posseduto, indipendentemente dalla sua utilità per il possessore, utilità comunque trasferibile da una persona all’altra.

Infine, con il termine self-expression si intende la crescente necessità dei consumatori di costruire un’immagine di sé attraverso un approccio selettivo  alle merci disponibili nel mercato.

Venendo alla case-history di questo articolo, il riferimento è alla limited edition che, puntualmente, la Giovanni Rana presenta in occasione delle festività natalizie, oltre naturalmente alle ormai tradizionali gamme dei vari Giri d’Italia.

Oro Rosso 2023 comprende 4 ricettazioni, nell’ordine: Astice e Gamberi; Culatello di Zibello DOP; Ossobuco; Parmigiano Reggiano e Mostarda di Mele Cotogne.

Giunta alla terza edizione possiamo dunque porci l’obiettivo di una sua decodifica in base ai contributi teorici derivati dalla ricerca accademica internazionale e prima menzionati. In sintesi si può affermare quanto segue.

L’aspetto funzionale, appare evidente in quanto, la complessità delle ricette ed in più la reperibilità delle materie prime necessarie, rendono l’alternativa ipotetica della autoproduzione casalinga, irrealistica. Di per sé le ricette non sono neppure rintracciabili nei menù di una ristorazione “popolare”. A ciò si aggiunga la facilità di preparazione implicita in una bollitura di 3 minuti.

L’aspetto emotivo è anch’esso presente, in quanto le esperienze delle edizioni precedenti  predispongono alla curiosità per ciò che di nuovo e raffinato poteva essere proposto dalla Giovanni Rana. È indubbio che le basi e gli abbinamenti di queste ricette predispongono alla sorpresa e allo stupore del: “chi l’avebbe mai detto?”

L’aspetto epistemico, risulta, ancora una volta, evidente in quanto l’unicità e la rarità dei gusti proposti nel 2023, non è immediatamente copiabile nel lasso di tempo corrispondente alla presenza a scaffale di Oro Rosso. In più il suo packaging scarlatto, separa visivamente il prodotto dalle altre referenze, mentre il raffinato disegno a tratto di un celebre illustratore come Carlo Stanga, accentua il carattere di “specialità” del tutto.

L’aspetto sociale scaturisce, invece, dall’invito ad appartenere ad una coorte di consumatori gourmet, gastronomicamente “acculturati”, che conoscono per esperienza, non il culatello volgarizzato, ma il Culatello di Zibello, piccolo ed anonimo paese di Giovanni Guareschi; consumatori  dal palato educato a spaziare tra le ottave più alte  del pentagramma gustativo con il Parmigiano stagionato, accoppiato alla mostarda delle desuete mele cotogne, misconosciuto retaggio delle cucine ducali di Mantova e Parma.

L’aspetto economico, è sottolineato, poi, dal prezzo consigliato in bell’evidenza sulla confezione, il quale, chiaramente, ha la duplice funzione di impedire un sovraprezzo e, in caso contrario, di valorizzare una eventuale promozione da parte del retailer. Si tratta, peraltro, di un prezzo di 3,99-4,99 € per 2 porzioni; un prezzo che fa rientrare il tutto in una “democratizzazione” delle specialità  sia pur di fattura industriale.

Tenuto conto di quanto detto,  Oro Rosso di Giovanni Rana rappresenta un caso da manuale per ciò che riguarda la tecnica della “limited edition” nei FMCG, poiché si avvale (requisiti fondamentali per l’esercizio) anche di una solidissima e crescente brand equity e di una grande potenza logistica/distributiva. Resta incognito l’aspetto dei costi dell’operazione, noti solo all’azienda,  che tuttavia sembrerebbero rientrare entro i limiti garantiti da una flessibilità/adattabilità produttiva di cui si parla molto e di cui si sa poco in termini di tecnologie applicate. Probabilmente Oro Rosso Limitd Edition è un esperimento non facilmente imitabile e molto più complesso di quanto appaia, da cui, però, c’è molto da apprendere.

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Daniele Tirelli

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