Vorrei e posso: una svolta inaspettata verso un lusso accessibile

Avatar photo Marilde Motta16 Novembre 2022

Se il “vorrei, ma non posso” è stato il regno delle rinunce e degli infelici ripieghi (anche fisici poiché per beneficiare di un primo prezzo bisogna ancora inginocchiarsi e rovistare alla base delle scaffalature) ora assistiamo nella gdo nazionale a una svolta inaspettata verso un lusso accessibile. Pare che alcune insegne vogliano gratificare i consumatori con una generosa porzione da “Paese del Bengodi”.

Nel giro di poco tempo abbiamo assistito al lancio di:

-Il Viaggiator goloso di Unes Maxi,

-Il Gastronauta di Decò,

-Le Eccellenze di Esselunga,  preceduta da Elisenda

-Piaceri italiani di Crai,

La lista non ha intenti classificatori, ma indica solo l’apertura di una serie di strutture dedicate a prodotti di gamma elevata, artigianali, nostrani, fatti come una volta, insomma per sintetizzare diversi da quelli standardizzati delle multinazionali dell’alimentare.. Cosa è successo? Dubito che l’Italia si scopra improvvisamente più ricca, di questi tempi poi men che meno.

Gli italiani sono diventati più esperti e quindi più selettivi? Può essere, una certa cultura gastronomica ha raggiunto strati più ampi di popolazione, ma non spiega il fenomeno di questo lancio in serie di prodotti selezionati, scelti con cura nella tradizione nazionale, favorendo spesso piccoli produttori. Un’operazione nostalgia sulle orme di “Viaggio nella valle del Po: alla ricerca dei cibi genuni” di Mario Soldati (correvano gli anni ’50)? Poco probabile che qualcuno si ricordi degli antesignani della ricerca delle radici perdute.Nemmeno credo sia una risposta ai progetti faraonici del genere Eataly e della trasformazione della nutrizione in una fantastiland alla Disney.

Allora, in mezzo ai tanti lai e piagnistei della gdo per la riduzione dei margini e di scuse per dover alzare i prezzi, di consumatori che in risposta accorciano lo scontrino, di produttori sconvolti dalle bollette energetiche, appunto in mezzo ad un’ondata di preoccupazioni e di paura per il futuro, pare che la luce in fondo al tunnel sia quella riflessa su una confezione di ‘nduja.

Celio, ma non troppo. Cosa succede nel sistema distributivo nazionale? Probabilmente sono in corso due fenomeni paralleli, tento una spiegazione (ma un bel dibattito sarebbe necessario):

-“meno-ma-meglio”

-una segmentazione chirurgica dell’offerta da parte delle catene distributive.

Sul fenomeno “meno-ma-meglio” ci sono molti studi relativi al comportamento dei consumatori quando, a fronte della cifra disponibile, devono guardarsi intorno per fare delle scelte. La rinuncia non è più sacrificio, ma è appunto selezione capace di concedere momenti che, anche se pochi, siano molto soddisfacenti, consolatori, gratificanti e perfino normalizzanti. Sulla necessità che spinge a destreggiarsi fra prezzo, valore e qualità ho già dedicato un articolo molto ampio.

Qui ribadisco solo che i tre costrutti (prezzo, valore, qualità) non sono condizionati dalla disponibilità economica, quanto piuttosto da atteggiamenti, ossia da meccanismi psicologici e comportamentali (su cui influiscno “gli altri”, le persone che fanno parte delle relazioni familiari, amicali, di lavoro, ma anche gli sconosciuti introciati sui social).

Ogni persona cerca soluzioni per un momento premiante da condividere con la famiglia (per liberarsi anche da sensi di colpa circa la propria capacità di dedizione ai familiari) e si risparmia accanitamente su prodotti che non hanno un signifcato (sul senso delle merci e dei brand ci sarebbe molto da approfondire).

Il fenomeno delle fedeltà spalmata su diverse insegne (mediamente si contano nel portafoglio dei consumatori almeno 4/5 carte fedeltà della gdo, catene beauty, benzine ecc.) spiega la necessità che ciascuno ha di fare scelte opportune (ossia che si rivelano tali secondo i criteri che ognuno usa per combinare, in proporzioni diverse, l’approccio a prezzo, valore, qualità). Peccato che le carte fedeltà non siano capaci di registrare le motivazioni di acquisto, il senso dato ad ogni atto, ma qui si aprirebbe ben altro discorso.

Passiamo all’altro fenomeno su cui vorrei soffermarmi: la iper segmentazione dell’offerta. Storia lunga e complessa. Le private label sfidano ormai il secolo di vita, la distribuzione moderna le ha adottate, all’inizio, come soluzione primo prezzo per poi rendersi conto di avere in mano la gallina dalle uova d’oro. Così è iniziata la segmentazione.

La marca del distributore è servita per competere con la marca d’industria in termini di performance del prodotto e caratteristiche, giusto con un pizzico di novità se non proprio di innovazione, insomma quanto basta per formare una scala prezzi e giustificarla agli occhi dei consumatori. Naturalmente si sono abbracciate tutte le varianti (bio, vegan, rich-in, free from e via elencando). Poi il prodotto private label non bastava più.

La direzione presa è stata quella della diversificazione con marchi che, da semplici nomi, sono diventate marche vere e proprie. Sono state gettate le basi per brand platform così solide che sono diventate insegne distributive capaci di raccogliere sotto un unico ombrello varie categorie del food&beverage. Le nuove marche d’insegna (per ora Il Viaggiator Goloso, Il Gastronauta, Piaceri Italiani, Le Eccellenze e Elisenda di Esselunga) sono diventate anche luoghi dove fare la spesa, dedicare tempo alle esperienze, un piccolo paese dei balocchi a portata di portafoglio, ma soprattutto a portata di quei desideri, motivazoni, comportamenti che sono tutti da ristudiare.

Dulcis in fundo, Elisenda

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Marilde Motta