Il fascino mnestico del Bucaneve senza zucchero

Avatar photo Daniele Tirelli13 Aprile 2024

Nel 1950, nell’Italia che ancora smaltiva qualche maceria dei bombardamenti e le facciate conservavano traccia di stanze sparite, la fame era ancora tanta, il cibo era comunque buonissimo e le sfiziosità pochissime. 

In quel contesto “fiorì” il Bucaneve Doria.

Ascolta l’audio.

Quel frollino industriale di forma anulare che richiamava un fiore con i suoi petali simulati con tante gocce di glassa zuccherina, iniziava ad essere una presenza sempre più frequente nelle case di tante famiglie che potevano permettersi lo sfizio di un prodotto industriale piuttosto che i biscotti di produzione domestica.

Sì, perché negli anni ’50, l’Italia della Ricostruzione e quasi sorpresa dai primi cenni del Boom ancora in incubazione era orgogliosa delle proprie industrie e della qualità che promettevano, dopo i tanti anni di prodotti adulterati dalla guerra e, ancor prima, l’assoluta mediocrità dei prodotti autarchici, spregio autolesionistico verso la “perfida Albione” moralmente mollicciata dai suoi 5 pasti quotidiani.

La friabilità e la dolcezza dei Bucaneve non trovava rivali tra i biscotti casalinghi, infornati nelle stufe a legna delle case sovraffollate del tempo. I bambini vi infilavano le dita, così come avevano gustato e giocherellato con i buchi delle Life Savers distribuite dai liberatori americani.

Oggi, Bucaneve si offre al pubblico in versione senza zucchero … (e anche senza lattosio), adeguando l’immutabile versione originale all’ansia per gli eccessi calorici e glicemici di un’Italia pasciuta e satolla.

Ma allora ha senso un Bucaneve senza zucchero, con tutti i biscotti alleggeriti e potenziati, disciplinati dai dettàmi vegani e ketogenici, fibrosi e biologici che si trovano in commercio? Pensiamo alle lasagne senza ragù. Allo zampone senza cotenna. Al Moscato senz’alcol.

Eppure, un senso il Bucaneve senza zucchero ce l’ha. Dopo 74 anni di presenza in casa e centinaia di colazioni e snack, in quel passato ancora scevro dai bulicami ansiogeni della cultura alimentare odierna, la componente mnestica prevale tuttora sulla sminuita fisiologia del gusto del frollino, ora, senza la sua bianca raggiera e sbiadito come i ricordi di gioventù.

“Old soldier don’t die – e in questo caso … – don’t fade away”, ma si battono sullo scaffale anche con i muscolari “rings” Hi-Pro e quelli con le tante fibre, la frutta, il miele, il cioccolato, i grani antichi.

Siamo schiavi della “libertà di…” decodificata da Isaiah Berlin, ovvero da quell’ “obbligo di scegliere” sempre, comunque e ovunque. Per questo, qualcosa di tramandato, qualcosa che ci leghi al passato, così senza impegno e senza sforzo, come un biscotto settantenne riadattato, a scanso di incubi diabetici, “ci sta”, come si suol dire comunemente nella neo-lingua italica.

E allora sia benvenuta la novità ossimorica di un Bucaneve senza zucchero, a 74 anni dalla sua nascita.

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Daniele Tirelli

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