Il tempo dello spirito (che i retailer non colgono)

Avatar photo Daniele Tirelli5 Gennaio 2024
Il gadget, che un tempo era un’espressione semplificata di una cultura popolare, si è espanso a costituire un abnorme universo simbolico. Con implicazioni non trascurabili sia per il giro d’affari che sottintende sia per gli effetti che esercita sul marketing e sulla comunicazione. Sorprende dunque che sia un business ancora poco sfruttato.

Tempo fa ero preda d’un’inappagabile ossessione volta a decifrare perché le persone comuni (come me) frughino, comprino e (in senso lato) consumino milioni di “cose” ammassate in ogni luogo (di vendita). Mi arrovellavo sul ruolo del taglio umoristico e caricaturale assunto da molti prodotti d’uso comune, della categoria dell’inutile, del superfluo, acquisti di cui – tutti noi, sempre altruisti con i soldi degli altri – dovremmo vergognarci, per poi ovviamente e rapidamente autoassolverci.

Essendomi stato detto che ero nato vecchio, per tutta la vita mi sono sforzato di seguire il suggerimento di Ennio Flaiano che soleva ripetere che in un paese come l’Italia, la serietà è il solo umorismo accettabile. Il prossimo Natale, però, mi vestirò anch’io da Santa Claus e obbligherò (brutta parola di questi tempi!) mia moglie a vestirsi anch’essa da “Miss Santa”, così da stupire il nostro primo e unico nipotino di 9 mesi.

Quale processo psichico del mio inconscio estetico di consumatore (a parte la senilità) mi spinge a fare ciò che non feci per i miei figli (ovvero travestirmi da Babbo Natale)? La spiegazione può trovarsi, forse, nel fatto che una vita di consumi ripetuti instilla delusione piuttosto che gratificazione, perché, se dobbiamo pur comprare auspicandoci un’emozione, tutto ciò presto annega inevitabilmente nella banalità del déjà-vu.

Sarebbe facile, in tema di emozioni consumistiche, citare e burlarsi della “gast-art-ronomia milanese”, minimalista in quanto a materia nutriente e appagante, ma sorprendente come impiattamento (un neologismo lezioso a cui la lingua toscana dà un vero, irriverente significato, ovvero il nascondere la sostanza sotto le forme e i cromatismi esasperati e il trasferire la golosità dalle papille gustative agli occhi e alle orecchie, deliziate dal vocal delivery del flow rappeggiante di uno chef).

Ma dei nuovi estetismi è parte anche il menzionato sense of humor tipico dello stile di comunicazione occidentale, il qua- le sembra divenire un obbligo per tutti

dal politico con la sua retorica populista, al manager che deve accattivarsi l’affetto delle sue risorse umane. Ancor di più i segnali verbali e visivi di un’onnipresente “simpatia” si espandono al business dei consumi: dalle banali t-shirt, all’elettronica, all’editoria, al design industriale, all’accessoristica e alla gadgettistica con infinite varianti estetiche difficili da de/circo-scrivere.

Pertanto il gadget, che un tempo eraun’espressione semplificata di una cultura popolare reificata nell’oggettistica da bancarella, le manine con le dita a corna – tanto per dire – e i luoghi comuni iconizzati e altre piccole volgarità, si è espanso a costituire un abnorme universo simbolico.

Parliamo in sostanza di un mondo di consumi – un tempo di serie B – che oggi viene nobilitato dal marketing più autorevole; un mondo in cui una facezia si può comprare al supermercato. Ma cosa rende spassoso lo slang surgelato nella parafernalia delle vetrine dei centri commerciali? Il grembiule da cucina femminista o quello con finti seni di plastica o l’accendino Firebird di Alessi o la pasta Zizi anche in versione xxl…

Tempo addietro il wc soprammobile con il verso morandiano “Non sei degno di me”, venduto a San Marino, era volgarissimo. Oggi, il candy toilet, il lecca-lecca da immergere nello sciroppo del piccolo wc accluso, figura nel confectionery dei bar e delle edicole.

Di fatto

l’articolo spiritoso vive nella contraddizione: esprime un anticonformismo di massa con mezzi convenzionali

normalizza l’effimera ribellione di personalità appiattite dalla comunanza del consumo di prodotti seriali; ossigena una vaga controcultura che degrada in una pacifica bizzarria e nel buonumore momentaneo.

Si tratta, insomma, di un’estetica apprezzata, anni fa, principalmente dalle generazioni al di sotto dei quarant’anni e disdegnata dagli anziani. Oggi quest’estetica pretende di rallegrare stili, luoghi e momenti di vita, coartati inesorabilmente dall’anonimità della routine quotidiana.

La frase fatta di un poster, l’effetto speciale di uno screensaver, la cuffia giullaresca di uno sciatore, gli accessori zoomorfi applicati a un computer in realtà non mirano tanto a divertire l’osservatore, ma piuttosto a irridere codici morali e comportamentali ritenuti stereotipati. E quest’irritualità, oggi, è condivisa anche dai boomer sul viale del tramonto, sorpresi e reticenti alla fine prematura del loro voler essere forever-young. Dunque, il posto di lavoro, la cameretta e finanche la propria persona (e io ne sarò testimone) divengono il mezzo per manifestare un’insospettata ma doverosa estrosità, che dovrebbe accattivarsi la simpatia dell’interlocutore.

Questa crescente inclinazione al buffonesco e al granguignolesco (si pensi alla crescita di Halloween) ha implicazioni non trascurabili sia per il giro d’affari che sottintende sia per gli effetti che esercita sul marketing e sulla comunicazione. E di questo dirò.

Il gadget normalizza l’effimera ribellione di personalità appiattite dalla comunanza del consumo di prodotti seriali.

L’ilarità scaturisce sempre di più dalla dinamica esagerata dei gesti e dal grottesco, supportati dal gadget e dal “digitale”, così da attivare gli automatismi mentali che inducono il buonumore facile, breve, reiterato e inesplicabile. E allora la percezione fugace del buffo o dell’insolito diviene il mezzo per la fuga ironica dall’oggi uguale a ieri e simile al domani.

Ne discende che i più perspicaci imprenditorialmente potrebbero sfruttare meglio un business che in Italia non è ancora strutturato. Catene quali Risparmio Casa, Maury’s ecc. potrebbero decodificarlo meglio, e più che prestare attenzione al prezzo della parafernalia dovrebbero capirne il contenuto semantico e la necessaria coerenza dei suoi vari sememi. Rispetto al caos ordinato dei bazaar cinesi sempre più numerosi o di Amazon, noi spiritosi per un attimo vorremmo trovarvi il consiglio e tutto il merchandising a supporto di un party originale, di un compleanno, di un fidanzamento o dell’auspicata magia di una notte di Natale.

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Daniele Tirelli

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