Alici del Cantabrico Top Esselunga vs FioFiore Coop, un dibattito di alta teoria economica.

Avatar photo Daniele Tirelli2 Marzo 2024

Attorno alle “Alici del Cantabrico” su Linkedin si è aperto un interessante dibattito di alta teoria economica. In sintesi, nell’ultima settimana di febbraio ’24, le Alici Top Esselunga sgocciolate costavano 240 €/kg  e quelle FiorFiore Coop 67,60 €/kg.

Diversi intervenuti hanno evidenziato una percezione del prezzo Esselunga notevolmente sottostimata. Poi, altri mi hanno inviato foto delle alici di alta gamma FiorFiore, il cui prezzo è molto distante dalle prime.

Tralasciando le interpretazioni più “ideologiche” e riferendoci quelle più propriamente economiche, partirò dalla ineccepibile spiegazione fornita dal Direttore commerciale e Marketing dell’azienda che le produce per Esselunga:il prezzo al pubblico è di circa 240 €/kg sullo sgocciolato, 132 €/kg sul peso netto. Alcune motivazioni: a) alici di grandissime dimensioni, b) proveniente dal Mar Cantabrico, c) lavorate esclusivamente a mano in Spagna, d) tripla pulizia manuale ( le spine vengono eliminate con le pinzette), e) in olio d’oliva che costa una fortuna. Prodotto eccellente.” … e questo, confermo, per me, è indubbio.

Coop sul proprio sito presenta le sue Alici del Cantabrico così: “…pescate nel nord della Spagna, nel Mar Cantabrico (zona FAO 27),  … Vengono lavorate entro poche ore dalla cattura con metodi tradizionali, completamente basati sulla manualità e poste a maturare per un periodo non inferiore ai tre mesi. Raggiunto il giusto punto di maturazione, vengono lavate e sfilettate prima di essere delicatamente accomodate nei vasi tutto rigorosamente a mano.

Date queste premesse resta da spiegare la relazione che intercorre tra il valore del prodotto che si trasforma nei due prezzi per il “consumatore finale”, riportandoci allo storico dibattito su che

COSA DETERMINA IL VALORE?

Il direttore sembra richiamarsi ad Adam Smith e David Ricardo e alla loro “teoria del valore-lavoro”, combinata a quella della scarsità.

Nulla è più utile dell’acqua, ma difficilmente con essa si comprerà qualcosa, difficilmente se ne può avere qualcosa in cambio. Un diamante, al contrario, ha difficilmente qualche valore d’uso, ma in cambio di esso si può ottenere una grandissima quantità di altri beni.” – Adam Smith – (1776).

Per gli economisti classici, un bene doveva avere un VALORE D’USO positivo per essere considerato un bene economico; ma poi il VALORE DI SCAMBIO veniva spiegato in base ad altri fattori, come la difficoltà di produzione, il costo delle materie prime, ecc.

Quindi, per Top Esselunga questi elementi sono: a) la scarsità delle alici di maggior taglia, b) la quantità di tempo lavoro impiegato nella loro preparazione; c) il costo dell’olio d’oliva.

Per FiorFiore Coop,  la spiegazione sarebbe nella minor taglia dei pesci e nel minor tempo di lavoro manuale impiegato.

Voglio escludere il fatto che Coop si appropri del plus-valore marxiano, pagando meno il lavoro impiegato!

Questa la spiegazione teorica, se adottiamo il filone  Smith-Ricardo-Marx-Sraffa, e che, a meno di qualche imprevedibile rivitalizzazione neo-marxiana, non sembra portarci ad una conclusione.

Se invece ci rivolgiamo alla teoria neo-classica del valore soggettivo e dell’utilità marginale, possiamo intravedere un qualche barlume. Il valore dei due prodotti è determinato dall’apprezzamento che un “consumatore rappresentativo” attribuisce a Top e a FiorFiore.

L’utilità di entrambi determina un RAPPORTO DI SOSTITUZIONE di 1 a 4. Il piacere  fornito da un alice Top equivarrebbe, cioè, a quello di 4 alici FiorFiore … in astratto!

Per evidenziare l’esattezza di questa relazione dovremmo allora provare ad aumentare il prezzo di Top di  1 euro/kg e determinare quanti grammi il “consumatore” è disposto a rinunciare in cambio d’una maggior quantità di prodotto Coop. E poi potremmo ripetere l’esperimento per altri ulteriori incrementi al margine.

Peccato che questo non possa avvenire perchè sia i prezzi, sia le quantità nei negozi d’oggi sono fissi e uguali per tutti. Dunque, le considerazioni che in azienda spesso si fanno circa la reazione della domanda al prezzo dovrebbero essere sottoposte ad una seria riflessione critica, anche perché esiste un altro problemaccio.

Il piacere per le acciughe sott’olio varia tra gli individui. Qualcuno ne va pazzo, qualcuno le odia, qualcun altro le mangia e basta. Come aggregare il piacere collettivo derivante da una quantità aggiuntiva di B invece di A, a fronte di una variazione del prezzo medio (ovvero per tutti)?

L’unico fatto certo è che sia Top Esselunga, sia FiorFiore Coop vendono! Vendono a clienti che spesso le ricomprano ribadendo la loro soddisfazione. Perché?

Escludendo le seguenti spiegazioni:

  • I clienti sono idioti da istruire (principio alla base della missione dei consumeristi vari).
  • I supermercati non informano e usano trucchi ingannevoli per fregare i clienti.

…avanzo, allora, le seguenti ipotesi:

  • L’informazione dei clienti non è perfetta o totale, perché
    • Informarsi sul prezzo del prodotto sgocciolato al kg e sulle qualità dichiarate di un prodotto di acquisto occasionale o saltuario, quali le alici, costa tempo e attenzione.
    • I clienti non hanno a disposizione nel luogo dove vivono un’Esselunga e una Coop e, quindi, non possono fare il paragone.
    • La probabilità che un acquisto di impulso come una confezione di alici venga pianificato dopo una ricerca del miglior prezzo-qualità è bassa.
    • L’acquisto delle alici non è monadico, ma parte di un “paniere” più ampio, per cui il costo di cambiare punto vendita per quel solo scopo supera il beneficio che ne deriva.
    • La probabilità che un consumatore faccia un test parallelo e simultaneo tra Top e FiorFiore, per stabilire quale dei due è decisamente migliore, è bassa o nulla.
    • La soddisfazione ricavata da altri prodotti della stessa linea marchiata Esselunga o Coop funge da garanzia sull’ottimalità di un ulteriore acquisto (questo è il goodwill verso la marca!).
    • E altri fattori psicologici.

Concludendo, sebbene i principi di base del valore utilitaristico soggettivo che vengono insegnati all’università, siano il punto di partenza (e non d’arrivo) dei ragionamenti di marketing, la comprensione della logica dei prezzi è un obiettivo arduo da raggiungere (ammesso sia possibile). La risposta sta piuttosto nella prassi aziendale che, attraverso un continuo try-and-judge stabilisce il miglior compromesso (temporaneo) tra prezzo, profitto e volumi venduti.

Tutto ciò, tenuto conto del luogo di vendita, dell’immagine d’insegna, della natura e del posizionamento del prodotto nell’assortimento, della comunicazione che lo accompagna.

Insomma, il prezzo “giusto” non esiste. Esiste solo quello “ingiusto” che corrisponde a vendite tendenti a zero.

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Daniele Tirelli

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