Olivier Dauvers – Sulla relatività dell’inflazione

Avatar photo Loris Tirelli3 Gennaio 2023

Il 2022 sarà ricordato come l’anno del ritorno dell’inflazione. E un’inflazione molto forte e più consistente per i prodotti alimentari rispetto al resto dei prodotti e servizi. NielsenIq e Iri hanno pertanto misurato un’impennata del 10% mentre, per l’economia nel suo complesso, Insee ha calcolato un tasso intorno al +7%.

L’anno è appena terminato e mai nella storia contemporanea dei consumi l’inflazione alimentare aveva raggiunto un livello  superiore al 10% (e anche al 15% per i prodotti star, quelli più visibili sugli scaffali, cioè quelli che danno forma all’inflazione percepita).

Ma, al di là delle cifre, ci sono dei lati negativi da esaminare…  perché

gli alimentari sono prodotti dai prezzi socialmente “infiammabili” per la pubblica opinione.

La sensazione di privazione alimentare si rafforza

Due fatti (non contestabili) alimentano il sentimento popolare. In primo luogo, il vincolo di bilancio per i prodotti alimentari è maggiore per i ceti sociali a più basso reddito. Ciò significa che l’aumento dei prezzi di Nescafé o Panzani pesa maggiormente sui loro bilanci rispetto a quello dei redditi più abbienti.

Inoltre, l’attuale incremento salariale (un altro 1,8% per il salario minimo dal 1 gennaio) è inferiore all’inflazione alimentare. Così con il passare dei giorni, cresce la sensazione di impoverimento del consumo alimentare.

In concreto, mangiare, mantenendo lo stesso budget, presuppone dei compromessi: tra brand (ad esempio, a vantaggio dei discount e delle private label o dei primi prezzi) e, inevitabilmente, dei compromessi sulle quantità o la frequenza di acquisto dei prodotti più costosi (come, ad esempio, i prodotti freschi tradizionali).

In altre parole, ci sono tutti gli ingredienti per un malcontento sociale. Il prezzo del pane, ancora una volta…

La verità matematica del potere d’acquisto del cibo è più sfumata

Tuttavia, la “verità matematica” è molto più sfumata. Sì, quest’anno i prezzi degli alimenti sono saliti alle stelle. Ma ciò si è verificato dopo anni di deflazione quasi generale.

Secondo l’Iri, alla fine del 2022, i prezzi nei supermercati (considerando insieme tutte le marche)  saranno superiori del 16% circa rispetto al 2007.  Nello stesso periodo, lo Smic (il salario minimo) risulterà aumentato del…  33%.

Evidentemente la Smicard risulterà aver notevolmente migliorato il proprio potere d’acquisto alimentare pur avendo l’opinione pubblica l’assoluta convinzione… del contrario.

Marchi più accessibili rispetto a 20 anni fa!

Per quanto concerne i “grandi” brand l’osservazione è ancora più evidente. “Vittime”, da più di 20 anni, dell’ininterrotta guerra dei prezzi tra brand essi sono ancora molto… accessibili, nonostante l’inflazione dell’anno trascorso.

Come confermato ancora una volta dallo Smic,

un formaggio President Camembert costa oggi meno che nel 2000

12 minuti di lavoro contro 14! Questo è la prova che l’inflazione è relativa, sebbene nessun consumatore ne prenda atto.

Ciò accade perché la relatività è un concetto (quindi un’idea astratta) mentre l’inflazione è una realtà (quindi è concreta). E il concreto ha sempre maggior peso dell’astratto.

Olivier Dauvers (traduzione di Loris Tirelli)

olivierdauvers.fr

 

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Loris Tirelli

Socio della società di ricerca Amagi, ha conseguito una laurea in Scienze Politiche alla Cattolica di Milano e una laurea magistrale in Marketing, Consumi e Distribuzione Commerciale presso lo Iulm di Milano.